BLOG
Cerca il bandolo di questa matassa. Sciogli ogni nodo, uno a uno. Dietro ogni nodo una domanda, e per ciascuna una riflessione. Se sei fortunato una risposta. Con o senza una risposta, senz’altro una storia da raccontare.
Per cui cercherò il bandolo di questa matassa. Bene che vada mi sarò ispirata per una storia nuova. Altrimenti avrò un filo rosso senza nodi con cui segnare il cammino. E saprò come ci sono arrivata, ovunque capiterò.
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Cerca il bandolo di questa matassa. Sciogli ogni nodo, uno a uno. Dietro ogni nodo una domanda, e per ciascuna una riflessione. Se sei fortunato una risposta. Con o senza una risposta, senz’altro una storia da raccontare.
Per cui cercherò il bandolo di questa matassa. Bene che vada mi sarò ispirata per una storia nuova. Altrimenti avrò un filo rosso senza nodi con cui segnare il cammino. E saprò come ci sono arrivata, ovunque capiterò.
Credo di essere stata colpita da quell’antipatica costipazione dialettica, più comunemente riconosciuta come blocco dello scrittore.
“Che cosa strana”, mi sono detta guardando la parete su cui attacco i post-it delle mie ispirazioni e dei progetti che intendo sviluppare su carta. O dovrei dire su un blank. Non mi pare di essere proprio a corto di idee. E pensare che ho sempre creduto che per poter scrivere fosse necessario soltanto avere quelle. Le idee. Invece no, oggi vi direi che non bastano.
Pensavo di festeggiare con qualcosa di speciale l’anno che compie oggi la mia Comfort Zone. Ma come diceva Robin in HIMYM quando Ted le chiede cosa serve oltre la chimica per stare insieme, “Il tempismo.” risponde lei “Ma il tempismo è una brutta bestia”.
Così, considerati gli sfortunati tempismi che mi vedono oggi poco incline a pensare cose speciali e sorprendenti, senza grandi cerimonie, ho pensato che riuscire a scrivere qualcosa fosse già un enorme traguardo.
Quando a dodici anni in estate ho iniziato a scrivere, nell’assolata e caldissima casa in campagna, mentre papà curava l’orto e mamma friggeva fiori di zucca alle 9.30 del mattino, comporre lunghi elenchi di parole mi aiutava ad ordinare le idee. A scandire i passaggi tra un concetto e l’altro, a legarli tra loro definendo la silhouette delle idee che volevo raccontare, come fossero i puntini sparsi e numerati della settimana enigmistica, la cui sola unione avrebbe potuto svelarne il senso globale.
“Favorisca patente e libretto. Dove stavate andando?”.
“Torniamo a casa Appuntato”.
“Comandante.”
“Torniamo a casa… Comandante”.
“Quindi siete congiunti?”
“Si.” con leggerissimo tremore di voce. E la bugia l’aveva sentita sfilare dalla bocca come fosse stata fatta da cinquanta sillabe e non una soltanto.
“Siete congiunti signorina?”
“Certo si. Come ha detto lui”.
E in quei cinque secondi prima che il Comandante facesse la domanda successiva, si erano fissati oltre le fessure tra cappelli e mascherine, ognuno nascondendo in un morso di labbra qualcosa di diverso. “Come ci siamo arrivati fino a qui?”. Pensarono entrambi senza dirselo.
E forse prima di proseguire, serve che lo si dica a voi, oltre che a loro stessi.
Sul tram del venerdì sera, alle 22:23, appallottolata sull’ultimo sedile in fondo a destra con le cuffiette infilate nelle orecchie e gli occhi fissi fuori dal finestrino. Un gran baccano mi ha distolto da quel rilassante intontimento. Ho guardato in fondo al vagone e ci ho visto un cane abbaiare con tutto il fiato possibile per quei due diabolici polmoni, alla caviglia di un ragazzo. […]
Ho girato la testa ed era ancora li a guardarmi, con l’aria stanca, buona. Un po’ arrabbiata e fintamente aggressiva. Sarà per questo che quando il cane gli ha abbaiato contro non ha battuto ciglio. Can che abbaia non morde (si dice).
Questa è la mia fermata, ma fra 10 secondi le porte si chiudono ancora, il tram riparte e ci vorranno almeno un paio d’ore prima che rifaccia tutto il giro della città fino a qui. Prendere o lasciare Margot: o resti qui a tirare giù il pettine fino alla fine della corsa o ti porti a casa questo nodo.
7. 6. 5. 4. 3. 2. 1.
Trovo molto affascinante l’evoluzione che ha avuto la comunicazione, direi negli ultimi cento anni. Me lo diceva spesso mio nonno: “Quann n’erama scriv, pnzemm a San Juann e l’scemm a Sanda L’cì”. Che per i non addetti ai lavori significa: quando volevamo scriverci, pensavamo a che parole scegliere a San Giovanni (festeggiato il 24 giugno) e riuscivamo a leggerle a Santa Lucia (il 13 dicembre). […]
L’ultima volta che sono uscita di casa per fare una passeggiata ho indossato un maglioncino di lana leggera, il cappotto più pesante che ho nell’armadio, ma ho dimenticato di prendere la sciarpa. E dopo pochi passi mi sono pentita amaramente di questa irresponsabile audacia.
Molta della gente che conosco inizia a contare da li i suoi giorni di quarantena .
“Abbiamo paura a tuffarci da qui.”
Ho ripreso a scrivere. Dopo qualche anno di tentativi a singhiozzi, molti mesi di lacrime e singhiozzi veri, e circa cinque ere geologiche trascorse nel cuore. Si sono estinti i dinosauri, assieme agli uomini che hanno voglia di spendersi nel corteggiare. Si è estinta la Tigre del Caspio e la mia rassegnazione. Si anche lei.
La signora Elisabetta Franchi, nota imprenditrice di moda, su cui non poco tempo fa ho visto un documentario che raccontava come fosse riuscita a costruire la sua realtà aziendale, ci racconta che per incarichi di rilievo (ergo ruoli dirigenziali, non certo impiegatizi) lei privilegia candidati uomini, perché “una donna non puoi permetterti di non vederla per almeno due anni”, facendo cosi riferimento senza utilizzare parole più chiare, più dirette quali “gravidanza”, “maternità”, al fatto che, ahimè, Gesù Cristo nostro Signore, il giorno della creazione del mondo ci ha dato la maglia della Matrioska, e all’uomo quella del bomber.