Uguale a chi?
Grazie Elisabetta Franchi per aver agevolato oggi, 8 maggio, festa della mamma, una riflessione nuova che esulasse dalla consuetudine sociale per cui “la mamma è sempre la mamma”.
Onestà intellettuale mi impone dire però, che le consuetudini, cosi come i proverbi, sono storia dell’uomo, riassunta in poche semplici parole. Sono scrigni di saggezza declinati in verbo da chi, in secoli di vita, la vita l’ha vissuta tutta e quelle consuetudini le ha timbrate e lanciate in mano alla generazione successiva.
Per cui si, è vero: la mamma è sempre la mamma. Mi viene da dire, alla luce dei miei modesti 33 anni di vita, e all’alba di questo inaspettato 2022, che: dipende dalla madre che hai avuto.
Questo sono certa che perfino i miei antenati mi avrebbero consentito di dire.
La signora Elisabetta Franchi, nota imprenditrice di moda, su cui non poco tempo fa ho visto un documentario che raccontava come fosse riuscita a costruire la sua realtà aziendale, ci racconta che per incarichi di rilievo (ergo ruoli dirigenziali, non certo impiegatizi) lei privilegia candidati uomini, perché “una donna non puoi permetterti di non vederla per almeno due anni”, facendo cosi riferimento senza utilizzare parole più chiare, più dirette quali “gravidanza”, “maternità”, al fatto che, ahimè, Gesù Cristo nostro Signore, il giorno della creazione del mondo ci ha dato la maglia della Matrioska, e all’uomo quella del bomber.
Devo ammettere che per un momento il commento della signora Franchi ha avuto un effetto straordinario sulla mia autostima: se lei è riuscita a fare del suo sogno imprenditoriale una realtà, con questa mentalità gretta e intelligenza emotiva praticamente non pervenuta, direi che domani posso scegliere con leggerezza se andare in ufficio o farmi una passeggiata sulla luna.
Un secondo dopo però, mi sono portata le mani ai capelli, come anche mia nonna Lucia, mancata alla precoce età di 100 anni e mezzo, era solita fare quando non si capacitava di quello che stava accadendo e mi sono detta in francese (perchè la mia introspezione la traduco sempre in francese): dove cazzo andremo a finire se qualcuno non si deciderà a disciplinare il diritto di parola. Avrebbero dovuto trattarlo meglio i padri fondatori della costituzione italiana questo punto. Già, la costituzione italiana: quella roba che parla di principi morali e civili, e tra le n cose anche del diritto di uguaglianza sociale.
Non credo di dire una cosa fuori luogo se vi dico che queste robe nel 2022 dovrebbero essere censurate: l’evoluzione dell’uomo in secoli di storia, è costellata di battaglie per la conquista di diritti materiali e non. Potrei farvi centinaia di esempi. E soltanto quelli potrebbero aiutarci a intercettare il senso vero (non quello prettamente verbale) delle stronzate che siamo costretti a sentire ogni giorno. Per cui ogni volta che qualcuno, nell’esercizio apparentemente innocuo del suo diritto di parola, prende il microfono ed emana versi primordiali riguardo a temi già ampiamente smarcati da decenni, servirebbe il coraggio di qualcuno che alla signora Franchi gli faccia una carezza e le dica “Stella vai a casa. Prendi una tisana e vedrai che domani andrà meglio”.
Vorrei che teneste a mente la parola “uguaglianza” mentre provo a farvi un ragionamento logico.
Ho iniziato la mia vita giocando con tutti. E già ricordo che quando avevo la gonna non potevo fare come se non l’avessi. A scuola materna un mio amichetto (amichetto per dire) mi ha messo la mano sotto e io ricordo chiaramente di aver pensato: ma ti ho mai tirato il pisello come fosse la corda della campana della Chiesa? Direi di no. Ma lui ha riso e per qualche tempo mi ha minacciata dicendomi di tanto in tanto “ti metto la manina sotto”. Per cui, nell’intento di ristabilire un’infantile situazione di libertà e uguaglianza, ho chiesto a mia madre di indossare solo pantaloni.
A scuole medie ho avuto il ciclo mestruale e da quel giorno, ogni mese donato da Dio alla terra, devo pianificare i miei impegni (che siano viaggi, vacanze, serate con gli amici), controllare di avere quello che mi serve in borsa prima di uscire di casa, comprare gli assorbenti, gli antidolorifici. Gestire gli sbalzi d’umore. Ho iniziato a comprare i reggiseni, a depilarmi regolarmente. Una mia valigia prima di partire per un viaggio non potrà mai avere gli stessi “pezzi” di quella di un uomo. Sorvolo sull’attenzione altissima da tenere a lavoro: moderare i sorrisi, restare in silenzio a certe battute spinte se non vuoi sottintendere altro. Cosa posso farci: la crescita personale è un percorso durante il quale impari ad amarti cosi come sei. È per questo che ho festeggiato la fine della mia adolescenza. Dopotutto, il primo grande traguardo personale è amare se stessi, malgrado le tante cose per le quali avremmo votato “NO” fin dall’utero di nostra madre.
Giuro che detesto riprendere concetti consumati, ma è necessario riportare in questo discorso la diversità linguistica con cui viene individuato un uomo sessualmente attivo (bomber, nei casi migliori bomberone), da una donna (mignotta, “una che la da”). Per carità: le parole sono parole. Restano li e sono tali se non scatenano conseguenze nelle vite delle persone.
Ahimè, purtroppo a causa di certe parole so di gente che è caduta in depressione, ha perso l’opportunità di una promozione, non è nemmeno stata presa in considerazione per un ruolo, è stata emarginata dai suoi cosiddetti “amici”. Sono sicurissima che anche voi ne conosciate. Non per altro: vivo lo stesso mondo di tutti, e non mi ritengo in questo senso più sensibile di altri. A vedere certe cose non ci vuole intelligenza emotiva. Occhi e onestà bastano e avanzano.
Qualche mese fa rientravo a casa in tarda serata. Sono entrata in una strada che devo percorrere necessariamente. I lampioni erano fulminati ed erano le 2 di notte. In questa strada c’ero io e un ragazzo. Ho alzato istintivamente il passo e ho controllato come fossi vestita. Il ragazzo si faceva beatamente i fatti suoi: la strada era buia anche per lui, ma non ha pensato che fosse il caso di affrettarsi per tornare alla luce nel più breve tempo possibile. Non si è guardato addosso per controllare come fosse vestito. Arrivata a casa ho riflettuto sulla diversa percezione del pericolo: comprendo facilmente perché una gazzella fugga alla vista del leone. Esplode tuttavia il concetto di uguaglianza, se penso che è purtroppo ragionevole che io debba aver paura di tornare a casa tardi, e un uomo no. Se penso che debba guardare che ore sono e valutare più sicuro un taxi. E un uomo no. Se penso che debba decidere come mi devo vestire se non voglio ingolosire le mani di nessuno sotto la mia gonna. E un uomo no.
Mi sembra chiaro, in questi pochi esempi assolutamente non esaustivi, che “essere” donna è per alcuni aspetti fisiologicamente, per altri storicamente e socialmente, un ostacolo enorme all’esercizio di uguaglianza. Tuttavia credo che la bellezza dell’evoluzione sia proprio scoprire soluzioni, idee e modi nuovi di vivere la vita e realizzare cose che per tantissimo tempo sono state irrealizzabili. E in questo intento, accolgo con benevolenza ogni piccolo passo, che sia un doppio cognome, l’obbligo di assunzioni femminili ai vertici aziendali, un permesso da lavoro mensile per mestruazioni, uno sgravio fiscale sull’acquisto di assorbenti. Sono tutti diritti importanti che non significano nulla presi singolarmente, ma valgono tanto messi insieme, in un contesto sociale che ancora fatica a portarsi le mani alla testa quando vengono fatte affermazioni folli come quelle di oggi di Elisabetta Franchi.
Quando ero piccina rimproveravo sempre a mia madre differenze nell’atteggiamento riservato a me e a quello garantito a mia sorella. E nonostante ci mettesse tantissima pazienza per spiegarmi che c’era uguaglianza nell’educazione e nel comportamento per entrambe, io mi sentivo discriminata e vedevo in ogni reazione un’immensa diversità. Ho capito crescendo che essere persone diverse impone comportamenti diversi, e nell’esercizio di un amore immenso come quello materno, è comprensibile amare uguale ma comportarsi diversamente. Quello che serviva a me non era quello che serviva a mia sorella. E viceversa. C’erano debolezze e necessità che ci allontanavano anni luce, e in quest’ottica come potevo pretendere che mia madre crescesse entrambe comportandosi alla stessa maniera?
Ebbene, alla luce dei pluridiscussi temi femministi, che ci vedono oggettivamente svantaggiate in certi ambienti, talvolta ancora lontane dall’applicazione giuridica (attenzione giuridica, non dico sociale) del principio di uguaglianza, mi chiedo: pensiamo ancora di poterla superare senza una deroga alle regole standard? Senza l’aiuto materiale di tutti, di chiunque abbia colto il senso di questi miei ragionamenti? C’è ancora qualcuno che pensa che davvero partecipiamo a questa vita ad armi pari? Che si possa evolvere ad un mondo migliore senza prendere una posizione e mantenerla con delle reazioni non fraintedibili? C’è ancora chi pensa che ci sia posto per gli astenuti?
A voi le deduzioni sul da farsi. Io da domani non compro più “Elisabetta Franchi”. Diventasse anche l’ultimo rivenditore di mutande presente sulla terra. Così magari il(la) prossimo(a) imprenditore (imprenditrice) illuminato(a), intervistato circa i segreti del suo successo, potrà dire: “Ringrazio la mia famiglia, che mi sta vicino. Il mio staff, assunto per merito. E me stesso, che mi impegno quotidianamente per non dire stronzate”.