Story flash: le leggi della pandemia
Ore 23.21
Come ci fossero arrivati fin lì, chi può dirlo.
“Favorisca patente e libretto. Dove stavate andando?”.
“Torniamo a casa Appuntato”.
“Comandante.”
“Torniamo a casa… Comandante”.
“Quindi siete congiunti?”
“Si.” con leggerissimo tremore di voce. E la bugia l’aveva sentita sfilare dalla bocca come fosse stata fatta da cinquanta sillabe e non una soltanto.
“Siete congiunti signorina?”
“Certo si. Come ha detto lui”.
E in quei cinque secondi prima che il Comandante facesse la domanda successiva, si erano fissati oltre le fessure tra cappelli e mascherine, ognuno nascondendo in un morso di labbra qualcosa di diverso. “Come ci siamo arrivati fino a qui?”. Pensarono entrambi senza dirselo.
E forse prima di proseguire, serve che lo si dica a voi, oltre che a loro stessi.
Marzo
Era appallottolata sulla poltrona in cucina, nella penombra del tardo pomeriggio di un giovedì di “prima” primavera, al termine dell’ennesima asfissiante giornata di smart working. Il PC aperto e incandescente posato sulle gambe, il pigiama a fiori messo su da giorni, il bollettino contagi della Protezione Civile puntuale in tv. Il giornalista a fine conferenza stampa chiuse il collegamento: “Andrà tutto bene. A voi la linea”. In uno scatto di frustrazione misto a sconforto, chiuse il PC con un colpo secco e scappò in bagno per la giornaliera doccia scacciapensieri. Con l’andare dei giorni, dei bollettini e dei DPCM, a dir la verità ne scacciava sempre meno. Ma mantenere almeno un’abitudine piacevole in quella routine surreale, le faceva bene al cuore.
Asciugava i capelli, come sempre a testa in giù, seduta sul bordo della vasca da bagno, scorrendo la home di Instagram, quando: “Marx89 vorrebbe inviarti un messaggio”. “E chi sono io”, pensò, “per negare a Marx89 di dirmi qualcosa”. Nessuno in effetti. “E poi, sempre meglio di bomberone91 di ieri”.
“Ciao :) “
“Ciao!” rispose.
“Come posso chiamarti, per non chiamarti light_room_88?”
“Puoi chiamarmi Chiara. Mi chiamano così!”
“Allora ciao Chiara. Tu puoi chiamarmi Marco”
Marco, capelli nerissimi e nemmeno una foto dove si intravedano gli occhi. Rayban scuri da sole sempre presenti, un cerchietto argentato al lobo destro e molti bracciali. Marco suona la chitarra, ha corso una maratona e ama la gentilezza. Ha frequentato il Liceo Classico e dopo la laurea in biotecnologie, ha iniziato a lavorare in un laboratorio di analisi. Proprio dov’era quando ha deciso di scriverle.
“Hai gli occhi che sorridono. Te lo hanno mai detto?”
“No, sei il primo in verità”
“Allora lo pensano tutti ma nessuno te lo dice.”
“Sembrano le parole di mia madre quando a scuola media nessuno si voleva mettere con me”
“Ma quelle erano bugie dette a fin di bene. Io invece non dico le bugie.”
“Nemmeno quelle a fin di bene?”
“Nemmeno quelle. Sono uno che parteggia per le verità a fin di bene. Tipo tu hai gli occhi che sorridono, e questa è una verità a fin di bene.”
“Grazie” rispose lapidaria Chiara, che non riceveva l’ombra di un complimento da molto tempo. O comunque nessun complimento che avesse le sembianze di una verità detta a fin di bene.
Chiara cucina solo per gli altri, le piace camminare e arrossisce sempre prima di parlare. Non ha mai i capelli in ordine, le piacciono le piante sempre verdi e ama la gentilezza.
“Credo che le verità a fin di bene stiano passando di moda sai?”
“Dici?”
“Si dico. O forse sono così abituata alle mezze verità per doppi fini [“sessuali”, aveva pensato mentre lo scriveva] che ho perso la capacità di distinguerle”.
“Per riconoscere una mezza verità da una verità a fin di bene, serve guardarsi negli occhi. Credo sia questo che sta passando di moda.”
“Lo dici proprio tu che non hai una sola foto dove ti si vedano gli occhi”.
“Guardarsi negli occhi è una cosa seria e una foto non risolve il problema. Ma quando ci vedremo, saprai dirmi se la mia è una verità con doppi fini.”
“Quando ci vedremo” pensò Chiara, che si chiedeva quando avrebbe ripreso a pianificare un incontro con un uomo, senza controllare le norme vigenti e senza ragionare su come fosse giusto comportarsi. Se abbassare la mascherina prima di salutarsi sotto il portone, come segno di incoraggiamento, o sanificare le mani prima di fare una carezza.
“Chissà quando ci potremo incontrare” scrisse Chiara.
“Non ho fretta, se continuerai a scrivermi.” rispose Marco.
Maggio
Continuarono a scriversi, passando da “qualche” giorno a “ogni” giorno. Era Marco a cercare delle scuse banali, e Chiara a costruirci su dei grandi discorsi, che spesso li trascinavano fino a tarda notte. Erano conversazioni leggere che, diversamente dalle ambulanze e dalle restrizioni governative, si sarebbero potute fare davanti a un drink. Ma si facevano dietro il telefono, in pigiama, sul divano, in accappatoio, mettendosi lo smalto ai piedi. E sebbene fosse un rapporto virtuale, frequentarsi così consentiva ad entrambi di “esserci” in momenti della giornata che diversamente non avrebbero mai vissuto insieme, conoscendosi da così poco. E man mano che si consumavano i giorni, e le ore di luce si allungavano, “così poco” era diventato “un pò” per certi versi. E per molti altri “un bel pò”. Avevano visto insieme serie tv intere, con severo sincronismo e senza mai cedere alla tentazione di vedere l’episodio successivo se l’altro voleva andare a dormire. Avevano vissuto l’ansia delle tre linee di febbre di Marco, il primo tampone e la preoccupazione dell’”adesso cosa faccio”. Avevano guardato in silenzio le immagini del corteo di salme in uscita da Bergamo. Non si erano soltanto fatti compagnia, ma erano stati insieme in tutti i modi consentiti dalla legge.
Tuttavia Chiara si chiedeva se, pur senza mai incontrarsi, avessero bruciato quelle tappe della conoscenza personale tra uomo e donna, che nelle sue storie passate erano state la culla della relazione sessuale. Come se ci fosse un limbo entro il quale si potesse essere amici o amanti, ma oltre il quale, definita la natura di questa relazione, non si potesse più tornare indietro. Chiara temeva di essere uscita da questa anticamera, e che l’assenza di contatto avesse condannato a morte tutti i possibili baci e i futuri passionali amplessi.
“Non mi hai mai detto nulla delle tue storie” chiese Marco senza preavviso, mentre affettava pomodori per cena.
Chiara tolse l’audio al televisore e scrisse: “Cosa vuoi sapere esattamente?”.
“Non più di quanto tu sia disposta a raccontare”.
“La lista è breve: c’è stato Walter quando ero al liceo. L’ho lasciato perchè era possessivo e secondo lui non potevo mettere un vestito corto se non in sua presenza. Però al mattino mi lasciava i cioccolatini sullo zerbino di casa prima che uscissi per andare a scuola. Poi c’è stato solo Carlo, per sette lunghi anni, durante i quali ho pensato davvero che non mi servisse altro per essere felice. Ci siamo lasciati due anni fa, per delle ragioni troppo difficili da spiegare. E poi qualche breve cortometraggio, tra cui sento di segnalare solo Stefano. Per intensità, più che per importanza. Il più grande errore di valutazione umana dei miei trent’anni, da cui tuttavia ho imparato molto.”
“Hai amato davvero qualcuno di questi?”
“Si.” scrisse Chiara, con un punto che sperava dicesse per lei “ho paura di dove possa portarmi questo discorso”.
“E che stagione era quando ti sei innamorata?”, chiese Marco spiazzandola.
“Che stagione?”
“Si, che mese era? Gli alberi erano secchi o facevano ombra. Milano è piena di alberi, te lo ricorderai. E il pomeriggio a che ora tramontava il sole? Quando ti sdraiavi a pensarci, avevi su un maglione di lana, o una t-shirt leggera?”
Così, ripensandoci per poter rispondergli, si rese conto che sebbene amasse l’estate senza riserve, alla primavera doveva la scenografia delle sue emozioni più belle. E che sebbene odiasse il polline con tutta se stessa, e tutte quelle ore chiuse in casa che quest’anno le stava infliggendo, il ricordo dei pomeriggi di luce sempre più lunghi, e delle giacche di cotone sulla pelle, le regalavano una sensazione di benessere inspiegabile, più che dell’amore per l’estate.
Parlare dei suoi amori passati le aveva fatto trascorrere tutta la notte pensando a loro, e ad uno in particolare. Era bastata una domanda sul passato per allontanare quel presente virtuale che da settimane le faceva compagnia quasi con lo stesso livello d’intimità dei suoi grandi amori. Quasi si, perché chi fosse Marco in fondo era per Chiara una grande incognita.
Agosto
Nel frattempo avevano riaperto ogni frontiera, e dacché erano rientrati in casa con un maglione pesante, il cappotto e la sciarpa, al primo accenno di sole di quella che la storia ricorderà come “la fase due di un anno fantasma”, rifecero capolino dai loro monolocali in t-shirt in tinta con la pelle bianca. C’era un mondo diverso dallo sciame di cappotti neri e stivaletti, che si appiattisce in metro ed esplode ad ogni apertura automatica delle porte. Ma a Marco andava bene così, se era il posto che avrebbe visto lui e Chiara finalmente incontrarsi.
Forse però quella frontiera, quella che li avrebbe visti toccarsi, era rimasta ancora serrata: Chiara aveva disertato i primi timidi tentativi di Marco di fissare un incontro, una cena, o anche solo un drink nel locale di jazz che lei amava tanto. Era partita poco dopo la riapertura del mondo per raggiungere i suoi giù in Puglia, e proseguire sotto il sole del suo casolare di campagna le infinite ore di smart working. Così, per accorciare il filo della matassa che Chiara sembrava tendesse a srotolare, decise di chiamarla.
“Pronto?”
“Se non ci possiamo vedere, vorrei smettere di leggerti e iniziare almeno ad ascoltarti. Se non ti dispiace.”
“Non mi dispiace.” rispose lei ridendo.
“E’ così strano sentirti che quasi mi verrebbe voglia di dirti, << Piacere mi chiamo Marco>>”.
“Addirittura.”
“Si. A te no?”
Marco era rimasto incastrato in una rete di seduzione, curiosità e diffidenza nei confronti di questa donna che si scopriva senza mai far vedere ogni cosa. E sebbene l’avesse contattata perché aveva un gran bel culo oltre agli occhi sorridenti, il fatto di non poter avere tutto del suo vissuto ma solo parte, lo innervosiva più del non avere nulla. Sperava quindi che la costanza e la tenacia con cui cercava di scoprirla ogni giorno, potesse valergli il regalo inaspettato di meritarsi ogni cosa. Senza chiedere.
Gli pareva strano desiderare così tanto una donna che non aveva mai incontrato. E desiderarla non per sbatterla sul letto, come le storie moderne gli avevano insegnato a fare, ma per averla. Avrebbe voluto averla proprio come si erano conosciuti. Un centimetro per volta e con intensità.
“Domani parto per Barcellona” gli disse Marco mentre Chiara si dondolava al fresco sull’amaca con il gatto acquattato sulla pancia nuda.
“Barcellona? Ma se fino a ieri dicevi di voler andare a Rimini!”.
“Alla fine abbiamo trovato dei voli super convenienti con Giacomo e Fra, scombinato i piani e fatto la follia.”
“Non fare stronzate mi raccomando: ho sentito che lì stanno salendo i contagi”.
“Stai tranquilla. Starò attento. Hai altre raccomandazioni?”
“Be direi le classiche: non accettare caramelle dagli sconosciuti e porta i preservativi”.
Era stato un pugno allo stomaco per Marco, che da mesi non toccava una donna e aveva silenziosamente alimentato la voglia di toccare lei come prima cosa appena fosse finito questo circo mondiale. Non sapeva in effetti cosa gli desse più fastidio di quella battuta innocua: se il fatto che lui stesso non riuscisse a prenderla come tale, o la leggerezza con cui lei l’aveva osata, pensando forse che tra amici certe cose si possono dire.
“Tra amici” già. E proprio come amici “non amici”, giocavano entrambi in una terra straniera.
Fine Ottobre
Chiara era tornata a Milano in treno, come piaceva a lei. Risalendo la penisola accompagnata dal mare fin dove poteva. Appena disfatte le valigie, Marco l’aveva chiamata: “Quindi? Vogliamo vederci o no?”. Sapeva bene che ormai non aveva più scelta. Almeno un rischio avrebbe dovuto correrlo, e fosse stato solo quello di risultare positiva al prossimo tampone, probabilmente sarebbe stata più serena.
“Si certo. Devo solo organizzarmi. Ti faccio sapere io.”
“Chiara, ci scriviamo ogni giorno, da mesi. Ti chiedo di vederci da inizio primavera. Tra un pò ci chiudono di nuovo in casa. Dimmi che problema c’è?”
“Nessun problema? Cosa ti fa pensare che ci sia un problema?”
“Tutto me lo fa pensare. Tu che non manchi una mia telefonata, che mi tieni compagnia fino a notte fonda anche quando il giorno dopo hai da fare presto a lavoro. Tu che non vuoi incontrarmi, come se volessi negare che sono una persona in carne e ossa, oltre che una voce”.
Si sedette. Rimase in silenzio. Prese tempo.
“Stai esagerando Marco. Non ho mai detto di non volerti vedere. Ma solo che devo organizzarmi: sono tornata a Milano oggi dopo mesi. Dammi il tempo di risistemarmi.
Davvero non mi spiego tutta questa serietà per una cosa così banale”.
“Perché forse non è banale Chiara. O forse per te lo è?”
Ma Chiara non voleva dire quello.
Marco: “Lo è?”.
Chiara: “No, non lo è”.
“Vediamoci stasera.”
“Stasera non posso.” disse lei precipitosamente.
Allora Marco fece un grande sospiro e riprese dicendo:
“Ok. Allora facciamo così: chiamami tu quando te la senti.”
“Perfetto. Grazie mille!! Sapevo che avresti capito.”
“Di nulla.”
“Ora mi faccio una doccia, mi impigiamo e ti chiamo dopo cena così riprendiamo la seconda stagione di Stranger Thinghs”.
“No Chiara. Ho detto chiamami tu, e fallo solo quando te la sentirai di incontrarmi. E nel frattempo, se vuoi finire la seconda stagione puoi farlo anche senza di me. E quando lavi i piatti per farti compagnia puoi mettere su una playlist delle nostre su Spotify. E se non riesci a dormire, bevi una cosa calda e aspetta”.
Pur di non uscire dalla sua comfort zone, Chiara aveva presidiato ogni angolo di quello spazio immaginario, tenendosi sempre ben lontana dalla porta d’ingresso, oltre la quale non c’era solo Marco ad aspettarla. C’erano nuovi rischi di restare delusa, nuovi specchi nei quali riflettersi, nuovi incontri si, ma chissà quanto all’altezza dei suoi desideri. Chissà quanto fintamente interessati. E se dall’inizio di questa terza guerra mondiale, sembrava che la vita vera avesse subito un interruzione violenta, parlare con Marco le aveva regalato la dolce sensazione di poter continuare a circolare liberamente nella sua comfort zone senza la colpevolezza di non volerne uscire. Ora invece era chiusa all’angolo, con la faccia schiacciata sul muro e l’unica alternativa di uscire.
Ne aveva le tasche piene di uomini interessati e corteggiatori inarrestabili, che conquistata la preda, battevano in ritirata, accompagnandola alla porta con un apatico “Dai ci sentiamo.”
In pieno stile riflessivo, Chiara lasciò passare alcuni giorni, nutrendo un pò’ la speranza di ricevere un messaggio o una chiamata di incoraggiamento. A fine mese la nazione aveva preso a giocare al semaforo e in questo valzer di colori, Chiara sfogliava il calendario pensando che se per gli altri poteva sembrare un gioco di società in piena regola, solo per lei diventava azzardo puro: se al lunedì la sua propensione a chiamare Marco era gialla, ma la Lombardia era rossa, avrebbe dovuto attendere l’aggiornamento degli RT per rimescolare le carte, scoprirle e magari ritrovarsi in una zona gialla con una propensione a rischiare rosso fuoco.
Fu il tempo, come al solito, a darle la soluzione. La nostalgia fastidiosa, come il prurito sotto il piede malgrado il quale continui ad andare ovunque tu debba, le fece concludere che quella telefonata andava fatta, e che non c’era da preoccuparsi: “siamo amici già da un pezzo” si disse. Asciugandosi i capelli, sul bordo della vasca da bagno dove aveva deciso di dare una chance a Marx89, gli scrisse un messaggio.
“Volevo comprare una pianta per il soggiorno.”
Lui visualizzò subito, ma senza rispondere.
“Poco lontano da casa c’è un vivaio. Ma se ci vado sola non riuscirò a scegliere. Mi accompagni?”.
“Certo. Quando vuoi andarci?”.
“Pensavo venerdì, dopo lavoro.”
“Bene. Ci vediamo venerdì allora. Passo a prenderti io.”
20 novembre 2020 - Ore 18:00
“Sono fermo vicino alla farmacia con le quattro frecce accese”.
Lo vide in lontananza, lo raggiunse e senza nemmeno accertarsi che fossero proprio quelle le quattro frecce giuste, aprì lo sportello ed entrò in macchina.
Marco aveva gli occhi marrone scuro e ciglia folte, nere e lunghissime. Le sorrise appena seduta e sul lato degli occhi gli si crearono raggi di rughe.
“Ciao!” disse Marco “hai messo su il maglione viola che mi dicevi?”
“Che occhio! Si è lui.”
“Ti sta bene.” e si fermò a guardarla.
Chiara ruppe il silenzio: “Ho impostato il navigatore. Parti su. Alla rotonda a destra”.
Non fu poi così strano incontrarsi: dopo tanti mesi passati sulla cyclette a pedalare, sembrava di aver ripreso a usare la bicicletta, con tutti i benefici del poter andare in giro e sentire il vento sulla faccia, piuttosto che il tanfo di aria consumata della stanza. Trascorsero un bel pomeriggio passeggiando nel vivaio, e sarà stato tutto quel verde, l’essere poco fuori Milano, o l’essere insieme senza un telefono incandescente, ma sembrava ci fosse più ossigeno e che i polmoni si aprissero di più ad ogni respiro.
Ormai fuori era buio e faceva un freddo cane. Rimasero nel parcheggio del vivaio e fecero un piccolo aperitivo rannicchiati in macchina, con il motore acceso e il riscaldamento a palla.
“Ebbene?”
“Ebbene cosa?” disse Chiara masticando un cubetto di formaggio.
“Perché tutta questa paura di incontrarci?”
“Non avevo affatto paura.”
“Si certo. E tu non dici mai le bugie.” rispose Marco canzonandola.
“Solo quelle a fin di bene” disse Chiara facendogli l’occhiolino oltre l’orlo del bicchiere di plastica mezzo pieno di vino rosso.
“Te la dico io una verità a fin di bene. Ero emozionato oggi al pensiero che ci saremmo incontrati. Mi ha fatto effetto vederti muovere tutto il giorno, parlare, gesticolare e sbattere le ciglia.”
Chiara sorseggiava il vino in silenzio, piena di emozioni ma senza una parola da dire.
“ Tu?” la incalzò lui.
“Io sto sempre bene quando trascorriamo tempo insieme, altrimenti non sapresti nemmeno come mi chiamo.”
Le prese la mano e iniziò ad accarezzarla con un dito sulle nocche e lungo le dita. Chiara restò ferma qualche secondo in silenzio a godersi quel tocco e fissarsi la mano, fino a quando vide in lontananza il custode del vivaio fargli luce con una torcia. “Dobbiamo andare via, è tardissimo. Siamo già fuori coprifuoco”.
E lui: “Ti riporto a casa”.
20 novembre 2020 - Ore 23.21
Facendo zapping alla radio, Marco aveva beccato una canzone tra quelle che più avevano ascoltato insieme in autunno e aveva alzato il volume. A 2 minuti dal portone di casa di Chiara, ecco una paletta rossa all’orizzonte.
“Favorisca patente e libretto. Dove stavate andando?”.
“Torniamo a casa Appuntato”.
“Comandante.”
“Torniamo a casa… Comandante”.
“Quindi siete congiunti?”
“Si.” con leggerissimo tremore di voce. E la bugia l’aveva sentita sfilare dalla bocca come fosse stata fatta da cinquanta sillabe e non una soltanto.
“Siete congiunti signorina?”
“Certo si. Come ha detto lui”.
“Che parentela?” continuò il Comandante sfogliando il libretto di circolazione.
Chiara abbassò un po’ il volume e si spinse con i piedi sul sedile.
“Siamo fidanzati. Stiamo tornando a casa, è lì in fondo alla strada a destra.”.
“Ah quindi siete fidanzati?”
“Si.”
“Siete fidanzati signorina?” rivolgendosi a Chiara.
“Si certo Comandante.”.
L’appuntato che vicino la volante stava controllando i documenti, si avvicinò alla loro macchina porgendo la carta d’identità.
“Abbassi un pò’ la mascherina?” rivolto a Marco.
Lui ubbidì. “Tutto regolare Comandante” disse l’appuntato.
“Baciatevi!”
“Come?” chiese Marco pensando di aver capito male.
“Siete fidanzati no? Baciatevi. Giù le mascherine.”
Considerato l’intreccio fittissimo di regole che nell’ultimo anno avevano condizionato l’esistenza di ogni uomo sulla terra, deciso per loro come dovessero conoscersi, parlarsi, se potessero vedersi, mangiare fuori, se e come toccarsi, dopo un primo momento di indecisione e stupore, sembrò coerente ricevere l’ordine di baciarsi. Soprattutto alla fine di una storia come la loro. O all’inizio, chi può dirlo.
E perfino Chiara aveva riconosciuto in quell’ordine l’ultimatum finale che Marco, malgrado l’insistenza, non era riuscito a darle. L’ultimo comma del decreto che le imponeva di rischiare qualche dolore per essere felice.
Per cui, senza indugi, abbassò la mascherina, alzò il volume e tirò il colletto della giacca di Marco sul suo petto. Lui si lasciò trascinare in un bacio illimitato, senza ulteriori indugi e senza resistenza a pubblico ufficiale.
Fine.