Nella lista delle cose di cui non me ne frega un ca**o
Pensavo di festeggiare con qualcosa di speciale l’anno che compie oggi la mia Comfort Zone. Ma come diceva Robin in HIMYM quando Ted le chiede cosa serve oltre la chimica per stare insieme, “Il tempismo.” risponde lei “Ma il tempismo è una brutta bestia”.
Così, considerati gli sfortunati tempismi che mi vedono oggi poco incline a pensare cose speciali e sorprendenti, senza grandi cerimonie, ho pensato che riuscire a scrivere qualcosa fosse già un enorme traguardo.
Quando a dodici anni in estate ho iniziato a scrivere, nell’assolata e caldissima casa in campagna, mentre papà curava l’orto e mamma friggeva fiori di zucca alle 9.30 del mattino, comporre lunghi elenchi di parole mi aiutava ad ordinare le idee. A scandire i passaggi tra un concetto e l’altro, a legarli tra loro definendo la silhouette delle idee che volevo raccontare, come fossero i puntini sparsi e numerati della settimana enigmistica, la cui sola unione avrebbe potuto svelarne il senso globale.
Così ho cominciato ad usare le liste per qualunque cosa: per i sogni, gli obiettivi, per le mete da raggiungere, le cose da comprare, le vette scalate e da scalare. Le capitali, la lista della spesa, tutte le chiese del paese, le spiagge della Puglia. Una volta ho fatto la lista di tutte le cose che in quell’anno avevo fatto per la “prima volta”. Una lista di prime volte in sostanza, ma con un perimetro temporale di 365 giorni.
Ne faccio tutt’oggi largo uso, e mi sono servite negli anni per dare spazio e organizzazione ai miei mille interessi, alle curiosità, e alla mia voglia innata (e oggi posso dire anche sconsiderata) di conoscere “bene” tutto, poterne parlare e mettere sempre ogni cosa in discussione. Già, discutere tutto, in primis me stessa, e che gran fatica a lungo andare.
Così, da qualche anno, anzi no, da quando ho trent’anni (una decade così tanto spartiacque che chiederebbe di scomodarsi a Mosè in persona), per alleggerire il peso di tutte le opinioni che ho intiepidito negli anni per amor di democrazia e per rispetto e considerazione delle prospettive di tutti, ho inserito tra gli elenchi importanti anche la lista delle cose di cui non me frega un ca**o.
Sebbene sia un lista privata che, formalizzata o no, hanno tutti, per me è stato incredibilmente rivelatorio scoprire dopo anni di diplomatici indugi, che è importantissimo averne una. Ben più che importante, è assolutamente indispensabile.
Più importante di tante altre liste nelle quali ci imbattiamo ogni giorno. Molto più importante dell’opinione di chi ha inserito la vostra opinione nella propria lista delle cose di cui non gliene frega un ca**o (bel gioco di parole). Un elenco coraggioso dunque di bianchi e di neri, senza appello e senza pietà.
Ho falciato così un pò di preoccupazione nei confronti di tutte quelle persone che a sapere il mio giudizio avrebbero potuto sentirsi lese o ferite. E ho riassunto in poche righe il mio interesse di piacere a tutti i costi o sembrare ragionevole anche quando non lo sono. Ho introdotto una sola regola alla costruzione di questa lista: alimentarla troppo potrebbe contribuire all’impoverimento delle cose a cui tengo, e sebbene abbia molto bisogno di riconquistare leggerezza, detesterei diventare una persona che non tiene a nulla. Una di quelle che a furia di rimanerci male impara a dire a disco rotto “tanto va bene così”, “nuovo giro nuova corsa”, “morto un papa se ne fa un altro”. Questa mia visione del mondo ha molto a che vedere con l’idea che ho dei rapporti autentici, ma di questo forse ve ne parlerò più in là.
La riflessione di oggi era un’altra: sebbene sia stata io stessa ad ammettere che ho scoperchiato il vaso di pandora solo dopo aver compiuto trent’anni, devo anche dire che ci sono arrivata con un bel pò di ritardo rispetto a tanta altra gente che conosco. Coetanei e non. Questo potrebbe fare di me un’immatura per certi aspetti, o per altri semplicemente una persona che in alcuni percorsi ci impiega molto più tempo.
Quando ero piccola mia madre mi tranquillizzava in questo senso e mi ripeteva che non era tanto importante quanto tempo impiegassi ad imparare la lezione, ma il raggiungimento dell’obiettivo. “Ci sono bimbi che devono ripetere il testo una sola volta. Altri lo imparano ripetendolo cinque volte. Poi ci sono quelli che devono leggerlo dieci e ripeterlo venti. Ma sono tutti dei bravi bambini se alla fine l’hanno imparato”.
Nessuno di quei bambini, secondo il ragionamento di mia madre, era un bambino stupido, solo perchè aveva necessità di ripetere il testo più volte. Semplicemente era fatto così.
Ebbene, credo che oggi si faccia troppo spesso confusione tra le caratteristiche dell’essere immaturi e quelle invece che ci definiscono come persone, e che in quanto tali, ci appartengono in maniera ben più definitiva dei vent’anni. Ripenso ai pomeriggi con le amiche in cui abbiamo mal commentato e archiviato la fine di certe relazioni sentimentali con un lapidario e rigoroso “è solo un immaturo”. E quanto mi pento di tutte le volte che ho sminuito, inconsapevolmente giustificato certi atteggiamenti, attribuendogli semplicemente mancanza di esperienza. Come se ci fosse preclusa la capacità di comprendere chi vogliamo essere prima di essere stati il peggio di quello che potevamo. Se fosse davvero così, se fosse solo una questione di esperienze che prima o poi arrivano e ti insegnano come è giusto fare e comportarsi, sarebbe incredibilmente più rasserenante e facile. Se fosse davvero così, allora i pochi bambini che riescono ad imparare un testo in una sola lettura sono gli unici intelligenti su cui possiamo contare. In realtà credo che la faccenda sia decisamente più complicata e abbia molto a che vedere con la consapevolezza di chi siamo oggi e chi vogliamo diventare domani. Le storie che scrivevo quando avevo vent’anni erano si piene di parole e luoghi comuni scritti senza la minima consapevolezza del loro significato, ma parlavano comunque di me. Di tutte quelle cose che ancora oggi, malgrado abbia scoperto il significato vero solo di alcuni di quei luoghi comuni (non tutti), mi definiscono come persona e come donna. Mi azzardo a dire, i particolari che chi mi ama, ama tanto in me.
Quindi per il proseguo dei giorni che devo ancora vivere (o almeno fino a quando le esperienze di vita non mi illustreranno nuovi più brillanti percorsi) rinuncerò con sforzo alla tentazione di ridurre gli errori della gente alla stupidità o l’immaturità. Accorderò questo beneficio con poche eccezioni a tutti i giovani immaturi che come direbbe il mio ex capo, godono della temporanea bellezza e spensieratezza del Somaro (concetto di altissimo livello che non vuole spiegazioni). Nel resto dei casi, farò lo sforzo di declinare parole e intenzioni in modelli di persone che non voglio diventare. Pare che sapere chi non si vuole essere sia tanto importante quanto conoscere bene la meta. E se non fossi in grado nemmeno di fare questo, non potendo nemmeno accogliere l’errore d’inesperienza, allora vorrà dire che prenderò carta e penna, raccoglierò tutte le intenzioni che possano generarmi pesantezza, preoccupazioni futili, nessun introito umano o finanziario, sdegno e rammarico, e le inserirò con leggerezza nella lista delle cose di cui non me frega un ca**o.