Cosa ci è mancato di più
L’ultima volta che sono uscita di casa per fare una passeggiata ho indossato un maglioncino di lana leggera, il cappotto più pesante che ho nell’armadio, ma ho dimenticato di prendere la sciarpa. E dopo pochi passi mi sono pentita amaramente di questa irresponsabile audacia.
Molta della gente che conosco inizia a contare da lì i suoi giorni di quarantena (ci siamo anche domandati chi mai avesse battezzato questa parola dando adito al fatto che il peggio potessero essere solo quaranta giorni e basta). Ad un certo punto ho iniziato a domandarmi quali fossero dopo un così lungo e uguale periodo di tempo (a parità di condizioni per intenderci) le cose che mancano di più alle persone.
Ho sentito molto parlare di sport, di corse all’aria aperta, di passeggiate, di drink sui Navigli, di serate sfuocate sul bancone del bar; qualcuno ha parlato di viaggi. Ne ho lette e viste di tutti i colori in questa piazza virtuale nella quale le persone si sono incontrate da quando siamo chiusi in casa: su Instagram c’è gente che fa fitness, si trucca, cambia taglio di capelli, discute con il marito, ci racconta cosa preparerà per cena e ce lo fa fare con lei se ci va di stare li a guardare.
C’è qualcosa che non va, mi sono detta. Avevo capito che la cosa principale a cui rinunciare sarebbe stato il contatto, nell’accezione più fisica e profonda di questa parola. Rinunciare ad un senso che per molti comporta “sentire” le cose che ci accadono, in modo completamente diverso (ma mai autosufficiente) da tutti gli altri.
“Vabè e quindi?”
E quindi abbiamo trovato in queste piazze virtuali un surrogato del “contatto” che servisse come palliativo per tollerare l’attesa, ma mi sarei aspettata che nel tempo destinato alla resistenza, quello che ci sarebbe mancato di più sarebbe stato toccarsi. Purtroppo nessuno ne parla. Nessuno lo dice: non ricevo un abbraccio da ormai 29 giorni. Un tocco senza protezione. Un bacio senza mascherina (nuove frontiere di erotismo all’orizzonte). Può darsi che molti lo pensino, ma per pudore non lo dicano. Se così fosse, ammetto di non amare l’insensata logica per la quale:
- farsi vedere in mutande da sconosciuti: si;
- dichiarare apertamente che ci manca una carezza o l’aderenza totale all’addome di qualcuno che ci voglia bene: no.
In sintesi: esistono due possibili interpretazioni. O forse tre al massimo.
O nessuno sente realmente la nostalgia nel toccarsi, perché tanto, Coronavirus o no, non siamo più abituati a farlo già da tempo.
O chi lo sente, avverte più nostalgia di altre cose; magari se ne vergogna perché decisamente fuori moda.
O io frequento i luoghi sbagliati. Virtuali o no.
In trasparenza non sento di togliere probabilità a nessuna di queste tre validissime opzioni. Umile da parte mia non trovate?
Ho rivisto e sentito più gente in questi ultimi 29 giorni che negli ultimi 3 anni (e ci ho messo un po’ a scegliere il riferimento temporale): alcuni mi hanno cercato subito, altri più in là. Qualcun altro davvero come ultima deriva della noia domenicale. Anche qui ci ho trovato inaspettatamente della coerenza: non ci allontaniamo sempre dalle persone perché non vogliamo saperne nulla di loro. A volte giocando al gioco crudele del “Chi butti dalla torre?” arrivi a fare scelte che non avresti mai voluto fare. E nel ritmo serratissimo di questa quotidianità che sembra esser fatta a stento di 12 ore, qualcuno resta fuori. Non perché lo vuoi. Ma perché è così. Per cui la quarantena è servita per alcuni aspetti a dare quella sfumatura che amo a certi “Come stai” detti con significato. A ricreare in questa bolla di tempo una routine d’incontri ideali, che non conosce nessun tipo di distanza ne limite temporale.
La pressione si è allentata e non serve gettare nessuno dalla torre: c’è abbastanza spazio per tutti. Spazio e tempo. Pur sempre senza contatto.
Siamo macchine semplici dopotutto: non ci servono molte cose, ci serve che siano distribuite in ordine regolare sulla linea del tempo. Che siano tante o poche, dentro o fuori casa, siamo programmati per farne un ritmo regolare che costituisca una nuova routine. Anche straordinaria, ma che sia routine. Che abbia un ritmo.
Guardando il tramonto tirare giù la luce su questa domenica di primavera, con tanti dubbi su cosa manca davvero alle persone, molte certezze su cosa manca a me, mi chiedo invece cosa ci mancherà di questi giorni.
Quando la bolla esploderà e dovremo rimettere tutti in fila indiana sul ciglio della torre. Chi si salverà? Non saprei. Ma credo che a chi oggi manca un abbraccio, parta avvantaggiato.
Lucia