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Comfort Zone Line è un blog di scrittura, creativa e banale, di storie immaginate, vere e ispirate. Comfort Zone Line è la mia dimensione di comfort, rispolverata in un pomeriggio primaverile di pandemia mondiale.
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In primo piano
“Favorisca patente e libretto. Dove stavate andando?”.
“Torniamo a casa Appuntato”.
“Comandante.”
“Torniamo a casa… Comandante”.
“Quindi siete congiunti?”
“Si.” con leggerissimo tremore di voce. E la bugia l’aveva sentita sfilare dalla bocca come fosse stata fatta da cinquanta sillabe e non una soltanto.
“Siete congiunti signorina?”
“Certo si. Come ha detto lui”.
E in quei cinque secondi prima che il Comandante facesse la domanda successiva, si erano fissati oltre le fessure tra cappelli e mascherine, ognuno nascondendo in un morso di labbra qualcosa di diverso. “Come ci siamo arrivati fino a qui?”. Pensarono entrambi senza dirselo.
E forse prima di proseguire, serve che lo si dica a voi, oltre che a loro stessi.
Sul tram del venerdì sera, alle 22:23, appallottolata sull’ultimo sedile in fondo a destra con le cuffiette infilate nelle orecchie e gli occhi fissi fuori dal finestrino. Un gran baccano mi ha distolto da quel rilassante intontimento. Ho guardato in fondo al vagone e ci ho visto un cane abbaiare con tutto il fiato possibile per quei due diabolici polmoni, alla caviglia di un ragazzo. […]
Ho girato la testa ed era ancora li a guardarmi, con l’aria stanca, buona. Un po’ arrabbiata e fintamente aggressiva. Sarà per questo che quando il cane gli ha abbaiato contro non ha battuto ciglio. Can che abbaia non morde (si dice).
Questa è la mia fermata, ma fra 10 secondi le porte si chiudono ancora, il tram riparte e ci vorranno almeno un paio d’ore prima che rifaccia tutto il giro della città fino a qui. Prendere o lasciare Margot: o resti qui a tirare giù il pettine fino alla fine della corsa o ti porti a casa questo nodo.
7. 6. 5. 4. 3. 2. 1.
“Abbiamo paura a tuffarci da qui.”
Ho ripreso a scrivere. Dopo qualche anno di tentativi a singhiozzi, molti mesi di lacrime e singhiozzi veri, e circa cinque ere geologiche trascorse nel cuore. Si sono estinti i dinosauri, assieme agli uomini che hanno voglia di spendersi nel corteggiare. Si è estinta la Tigre del Caspio e la mia rassegnazione. Si anche lei.
Tornò a casa felice, grata e piena. E come spesso faceva dopo le sue lunghe giornate, iniziò a spogliarsi, un pezzo per volta. Slacciò le scarpe all’ingresso, appena entrata, e proseguì scalza in camera da letto. Accese il giradischi già senza maglia e posò la puntina delicata sul vinile in postazione. Poi passò dalla cucina e riempì un calice di vino prima di sfilare i pantaloni. Infine sganciò il reggiseno e tolse gli slip di fronte alla lavatrice. Li infilò nel cestello e avviò il programma.
“Papà se n’è andato”. Mi disse al telefono. E solo ora mi accorgo di come abbia trascorso tutto il tempo successivo a quell’istante a capire dove. Dove se ne fosse andato Diego. A chiedersi quando si sarebbero rivisti, e chi avesse inventato la stronzata che il tempo guarisce tutto. G. si sentiva sulla riva di un’isola a fissare una barca dalla quale non voleva dividersi, allontanarsi ogni giorno. E a furia di vederla rimpicciolirsi all’orizzonte, non si sentiva meglio, come invece le avevano promesso, ma solo più nostalgica.
La signora Elisabetta Franchi, nota imprenditrice di moda, su cui non poco tempo fa ho visto un documentario che raccontava come fosse riuscita a costruire la sua realtà aziendale, ci racconta che per incarichi di rilievo (ergo ruoli dirigenziali, non certo impiegatizi) lei privilegia candidati uomini, perché “una donna non puoi permetterti di non vederla per almeno due anni”, facendo cosi riferimento senza utilizzare parole più chiare, più dirette quali “gravidanza”, “maternità”, al fatto che, ahimè, Gesù Cristo nostro Signore, il giorno della creazione del mondo ci ha dato la maglia della Matrioska, e all’uomo quella del bomber.