4. Torino - Milano
Ritrovare un vecchio amico dopo anni di latitanza è sempre una buona cosa. Una specie di tagliando dopo venticinquemila chilometri, o dieci anni in questo caso; l’occasione in cui tirare la linea e capire cosa sei diventata. Cos’è cambiato da quella dimensione nella quale vi eravate conosciuti. Cosa hai lasciato per strada, e cosa ti sei portata in barca.
“Ti trovo stanca sai?”
“Che gentile. Potevi aspettare il secondo giro di spritz prima di dirmi che sto invecchiando male”.
“La solita esagerata. Ho saputo di tuo padre. Come sta andando?”
Già: che grande stanchezza. E quanta poca vita sulla carta per poterla raccontare senza sentirsi fuori luogo. Sembrava tuttavia che in quei trent’anni ci fossero entrate più cose di quelle che potevano contenere. Si era seduta a pensarci qualche giorno fa, dopo mesi chiusa in casa a dannarsi per tutto quello che sembrava non andare per il verso giusto, e il disappunto per questo “brutto periodo” che pareva non finire mai. Si rese conto, così, inaspettatamente, che negli ultimi cinque anni aveva macinato più̀ strada ed esperienze che in tutto il resto della sua vita. Aveva raccolto più delusioni, vissuto più traumi, e conosciuto più persone che in tutto il resto del suo vissuto.
Due traslochi. Un incidente d’auto. La malattia. La terapia intensiva. Gli ospedali. L’addio alla nonna. Svariati cambi di lavoro e decine di sedi di destinazione. Multe a non finire. Cartelle esattoriali. Diverse ambulanze. Due ruote bucate. Ho perso il conto dei treni presi di notte e di quelli persi di giorno. Delle notizie importanti ricevute per telefono. Degli amici di una vita sposati, poi genitori. I parenti sfiorire.
Chissà perché́ l’aveva pensato, anche solo per un istante, che raccontare tutta questa grande stanchezza potesse essere fuori luogo.
“Mah. Combattiamo. Non so dirti se sta andando meglio o peggio. Dipende dai giorni del mese.”
“Ovvero?”
“Se siamo in terapia, sembra che tutto possa andar bene anche cosi. Se invece è la vigilia della tac di controllo, ti chiedi come faremo a sopravvivere. Tutti quanti.”
“Oh lo sai: se ti serve qualcosa io ci sono”.
“Mi serve un lavoro Gabri. Per ora partiamo con quello e poi vediamo il resto. Come facciamo?”
“Facciamo che chiedo a Ludo se puoi prenderlo tu il posto Cristian in radio. Ma ti avviso: orari di merda e paga da squattrinati.”
“Figurati: va benissimo! Ci devo pagare l’affitto. E poi lo sai che io in radio accetterei anche un posto come lavacessi”.
Sembrava davvero irreale essere riusciti a salire su questo cavallo fortunato. Ci eravamo addormentate tardissimo quel giorno, incredule. Come una giornata di sole in piena stagione delle piogge, o un soffio di vento fresco alle tre del pomeriggio di un agosto torrido. G. aveva compreso solo col tempo le sfumature emotive che passano dallo stupirsi al restar delusi. È proprio vero che certe cose le si impara solo vivendo.
Era grata per quel soffio di vento in poppa: se anche non fosse stata la svolta di un periodo di merda, era tuttavia un piccolo stupore.
Tornammo insieme a Milano l’indomani mattina, mettendo spesso in stand by i nostri discorsi per cantare a squarcia gola le hit degli anni 90 che ci regalava lo zapping radiofonico. Le avevo appena dato il cambio alla guida quando:
“Mi ha riscritto”
“Chi?”
“Il tipo del call center!”
“Che ti ha scritto??”.
“…”
“Daiiii! Cosa ti ha scritto??”
“Mi chiede se ho risolto con i biglietti aerei”.
“Beh rispondigli no?”
“Non so cosa dirgli.”
“Una cosa a caso. Devo dirtelo io? Scrivigli: si grazie mille, sei stato molto carino”.
“No, così lo incoraggio”.
“Ma cosa ti prende? Perché tutte queste paranoie per un tipo gentile che vuole attaccare bottone?”.
Avrei dovuto capirlo già da li, all’uscita dell’autostrada, che in quel contatto telefonico c’era stato un pò più di un semplice scambio di battute. G. sembrava volesse tenerlo ad ogni costo lontano, orientata da quell’affidabile sesto senso che cieco e sordo in qualche modo sa dirci sempre come andrà a finire.
“Non voglio storie Claudia. Non ho tempo ne voglia di scegliere un rossetto, le scarpe con la borsa. Ancor meno di abbinare il reggiseno con il tanga. Non ho voglia.”
Per cui gli rispose un lapidario “Si.”. Con un punto secco come una falce sulle gambe. Lui le chiese come stesse, e lei rispose “Bene.”. Lui le domandò di dove fosse. Lei smise di rispondere.
Il giorno dopo si svegliò prestissimo, prese il caffè poco prima delle 7.00, come al solito a gambe incrociate sul divano, leggendo i titoli delle notizie rincorrersi in basso sul monitor, con la tv in muto e di sottofondo la musica a basso volume. Dopo aver lavato i capelli, infilò jeans, t shirt, converse, e corse via in metro.
Non le parve vero inforcare di nuovo quel laccetto al collo, insieme al badge con quel logo e il suo nome sopra. “Pensavamo per iniziare tre volte a settimana. La fascia scoperta è 21 – 23. Non so se va bene.”
“Certo. Va benissimo”.
“Ok. Regole chiare: mandi a me e Catia i contenuti che hai selezionato il giorno prima per la puntata del giorno dopo. Noi ti diciamo se è ok, e tu puoi andare in onda. Non vai in onda se non ti diamo l’ok. Ok?”
“Ok.”
“Devi essere qui almeno un’ora e mezza prima della puntata. Ti guardi la scaletta con chi c’è in sala e scegliete i pezzi. Non sforate i tempi o il capo ci ammazza. Non ci occorrono grandi doti. Tieni il ritmo, parla di cose leggere e lancia i pezzi. A quell’ora serve non far addormentare i camionisti in strada”.
Lei, già scollegata, era con gli occhi in giro a guardare gli angoli dello studio, i tavoli alti, le cuffie posate sopra e i microfoni spenti.
Tornò a casa felice, grata e piena. E come spesso faceva dopo le sue lunghe giornate, iniziò a spogliarsi, un pezzo per volta. Slacciò le scarpe all’ingresso, appena entrata, e proseguì scalza in camera da letto. Accese il giradischi già senza maglia e posò la puntina delicata sul vinile in postazione. Poi passò dalla cucina e riempì un calice di vino prima di sfilare i pantaloni. Infine sganciò il reggiseno e tolse gli slip di fronte alla lavatrice. Li infilò nel cestello e avviò il programma. In giro nuda per casa, lo faceva sempre, con un bicchiere di vino e la sua musica. Libera e selvaggia, come poteva esserlo solo li. Controllò il telefono prima di entrare in doccia e trovò un nuovo messaggio su whatapp, da un numero però sconosciuto. Lo aprì, e tutto quello che vide fu una nota vocale di 26 secondi. Premette play a bordo vasca, con l’acqua calda che già veniva giù.
“Ehi! Ciao. So che con questa nota vocale potrei beccarmi una denuncia. Ho preso il tuo numero dai tabulati telefonici a lavoro. Ieri ti ho scritto, ma secondo me funzioniamo meglio a voce. Spero non ti arrabbierai di nuovo. In caso positivo, chiamami. Mi va benissimo anche così. Buona serata tigre. Io mi chiamo Luca.”.
In un brivido di emozione e pudore, si percepì improvvisamente nuda. Oltre gli abiti probabilmente, tutta nuda. Allungò il braccio sul primo asciugamano a portata di mano, e completamente sola, se lo strinse addosso proprio come se qualcuno fosse appena uscito da quel telefono per guardarla.