1. "Ehi!"
Alcune mattine, come oggi, riesco ancora a stimolare quell’angolo di luce creativa che sento di avere fin da bambina. Stavo pensando che crescere è come camminare in un sentiero gigante. A volte sembra quasi di essere su una pista da sci. L’ultima volta che ci sono stata mi sembrava non finisse mai. Non ne vedevo inizio e fine.
Ecco: quando sei piccola hai la delirante sensazione delle mille opportunità. Di poter fare praticamente ogni cosa. Poi camminando, vivendo, crescendo, inizi a vedere i confini del tuo percorso. Gli argini oltre i quali esci fuori dal tracciato e rischi di cadere giù. Improvvisamente solo su quel sentiero, magari nemmeno tanto battuto e facile da percorre, sai che sei nel “tuo”. Nessun fuori pista. Non fa parte del tuo percorso.
Credo che la strada crescendo, vada via via stringendosi. Che sia fisiologico, dopotutto. Penso onestamente che rientri nell’ordinaria natura delle cose. Dell’essere grandi. Se la strada è talmente stretta da darti le vertigini, e ti senti a due passi dal dirupo, non puoi più muoverti se non in avanti, se non riesci a raccogliere un fiore o a guardare il paesaggio, se un giorno ti svegli e stai facendo l’equilibrista su un filo di seta… forse hai sbagliato strada?
G. era una di quelle donne instancabili che pensa di cambiare il mondo. Trovavo nelle sue sfide quotidiane qualcosa di incredibilmente affascinante. Forse perché avrei dato un braccio per avere la sua stessa determinazione, il coraggio di affrontare la vita di petto, senza mai temere le conseguenze delle proprie azioni. G. si comportava come se davvero fosse fatta di gomma: qualunque cosa fosse giunto dalle sue scelte, le sarebbe rimbalzato addosso o sarebbe stato suo. In ogni caso non c’era possibilità di distruggersi, come accade a chi invece è fatto di vetro.
“Che parole amare!”, ti rispondeva quando provavi a lamentarti. “Dovrai riconoscerti allo specchio prima o poi. E ti conviene trovare un’immagine che ti piaccia, dato che dovrai conviverci per sempre. Amici, colleghi, amanti e parenti: che potranno dirti. A fine giornata ognuno tornerà a casa. Tu invece resti sempre con te stessa”.
Riusciva a mantenere intatte le sue milleuno opportunità o forse era diventata molto brava a illudersi di averne. Guardava negli occhi un ragazzo se le piaceva, entrava in un bar anche da sola. Indossava spesso la cravatta a lavoro e sotto i pantaloni, tacchi a spillo. Rivolgeva sguardi di disappunto senza chiedersi che ruolo istituzionale avesse il suo interlocutore. Non aveva mai paura di dire ad alta voce “Non lo so fare”.
Come ogni giorno uguale all'altro, malinconico e poco meno angosciante del lunedì mattina, percorrevamo il viale alberato accanto alla stazione. Avrei potuto riconoscere la stagione dell’anno ad occhi chiusi sotto quei giganti di legno, solo sentendo sul viso l’intensità della luce filtrata dai rami. La percorrevo ogni giorno assorta e a furia di fissare quel tetto verde che pareva volesse proteggermi dalle intemperie del mondo, sentivo di conoscere ogni foglia. Avvertivo la loro assenza e fissandone qualcuna ogni tanto, riuscivo anche ad accorgermi di quando un bel mattino d’ottobre, ... non c’era più.
G. indossava un jeans aderente con una camicetta rosa antico di seta, infilata dentro i pantaloni e sbottonata sul petto. Una giacca nera, i capelli sciolti e due grandi cerchi alle orecchie. Le squilla il telefono. Insolito per essere solo le 8.20 del mattino. “Porca troia. Non dovrei nemmeno accenderlo prima che siano le 9.”
“Pronto???” ..
“Ehi.”
Un pugno infuocato nello stomaco e la pelle ruvida come l’asfalto.
“Ehi.”
“Come stai?”
Di quei “come stai” che sanno di reale, di fame d’informazioni vere. Di quelli che a domandarli
“si corre sempre un certo rischio. Il rischio che risponderai. E questo sai, non è previsto”.
Era insolito vedere G. in difficoltà: inchiodata sul marciapiede con gli occhi sgranati, il telefono all’orecchio e la borsa a penzoloni sul braccio destro. Inerme. Le ho fatto cenno con la mano bisbigliando “Tutto ok?”. Lei mi ha guardato fissa e non ha detto nulla.
“Non ti fai vivo da un po’”
“Ma ...allora? Come stai?”
“Se ci vediamo magari ti racconto. Ora non posso.”
“Ok dai. Stasera alle 10 passo da te. Solito? Squillo e scendi?”.
“Va bene”.
E chiuse la chiamata con lo sguardo di chi aveva appena riesumato una di quelle milleuno opportunità che aveva perso già da tempo.