Marrakech

Marrakech

ottobre 2019

Marrakech è contraddizione. Un passo indietro, al centro del nostro riad. In silenziosissima contemplazione degli angoli d’ombra, studiati o no. All’ascolto ipnotico dei cinguettii, dei coni d’eco che sembrano cullarti per anni, seppur ferme, a gambe incrociate di fronte alla tazza di the fumante. Seppur con quaranta gradi all’ombra, senza soffrirne il vapore.

Un passo in avanti, oltre l’uscio di questa bolla di pace, la città. Il caos prorompente di mille passi in movimento, in direzioni diverse, opposte e mai segnalate. Le traiettorie infinite, i mille mezzi di trasporto, le urla dei mercanti, dei bambini che giocano per strada, delle donne che li richiamano, degli automobilisti che scambiano informazioni al finestrino.

Qui i miei mille passi in Marrakech. Play.

 
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Medina.

Medina.

Piazza Jamaa el Fna. Scrive la guida che mi scarrozzo nello zaino, “Patrimonio dell’UNESCO”. E a dispetto di un’architettura prepotentemente arabeggiante ad ogni angolo di strada, Piazza Jamaa El Fna è un mosaico vastissimo di pietre bianche e null’…

Piazza Jamaa el Fna. Scrive la guida che mi scarrozzo nello zaino, “Patrimonio dell’UNESCO”. E a dispetto di un’architettura prepotentemente arabeggiante ad ogni angolo di strada, Piazza Jamaa El Fna è un mosaico vastissimo di pietre bianche e null’altro. Non un albero. Una seduta. Un’aiuola. Ma solo pavimento. Appollaiata a spiarne l’anima da una qualunque delle centinaia terrazze che l’abbracciano, ricorda il ritmo laborioso di uno stuolo di formiche. E così, tra i fumi bianchi e confusi delle braci accese ad ogni passo, intravedo in guida “inserita nella categoria Patrimonio orale e immateriale”. Proprio perché ci sono ricchezze inafferrabili, inconquistabili da nessuno. E in questa bellezza inspiegabile, esser liberi da padroni.

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Zagora - 11 ottobre 2019 Sveglia alle 6, per riprendere la ricerca del principe Alì Ababua.  Scherzi a parte, notte serena qui a Zagora, malgrado l’escursione termica di quei 10 gradi.  Notte serena, almeno per me: sarà stata colpa di quei 354 km in…

Zagora - 11 ottobre 2019
Sveglia alle 6, per riprendere la ricerca del principe Alì Ababua.
Scherzi a parte, notte serena qui a Zagora, malgrado l’escursione termica di quei 10 gradi.
Notte serena, almeno per me: sarà stata colpa di quei 354 km in autobus, per un totale di oltre 6 ore di viaggio (fermate escluse), che ci hanno trascinato fin qui. In questa sorta di reality show senza regia, e tanta magia (mi piaceva fare la rima).
Fortuna ci sono i dromedari a interrompere questi momenti di idillio romantico e ricordarci cos’è il dolore vero. Abbiamo trascorso la notte in tenda, su dei materassi che mi ricordano tanto la schiena del povero Umberto. Umberto si: il dromedario che ieri e oggi mi ha scarrozzato nel deserto. E se credevate che fosse un cammello, resterete interdetti: “I cammelli stanno solo in Asia. Qui ci sono i dromedari. Ok???”. Parola di Abdul, l’uomo che ci ha fatto da guida nella Kasbah di Ait BenHaddou ieri mattina. Un impero di pietra e terra rossa, dove la casetta più modesta ospita famigliole anche di 45 persone.
L’alba ghiacciata sulle dune di questo posto e la colazione a base di pane, burro e miele (tra l’altro il più buono che abbia mai mangiato in vita mia) ci hanno ricaricato quanto basta per riprendere lo zaino in spalla e andare.
Nonostante il the caldo con 45 gradi all’ombra, il bagno alla turca e la gobba dolorosa del povero Umberto, farò tanta fatica a non parlare di questi giorni come tra i più surreali mai vissuti prima. Alla ricerca del principe Alì Ababua.

 
L’alba ghiacciata sulle dune del Sahara.

L’alba ghiacciata sulle dune del Sahara.

Kasbah di Ait BenHaddou

Kasbah di Ait BenHaddou

Kasbah di Ait BenHaddou

Kasbah di Ait BenHaddou

Zagora. Amici di Abdul. La linea di confine. E il povero Umberto.

Zagora. Amici di Abdul. La linea di confine. E il povero Umberto.

Jardin Majorelle - 12 ottobre 2019L’hammam nel cuore della Medina, la prima birra fredda dopo giorni di the caldo alla menta e buone nove ore di sonno, ci sono servite oggi a lanciarci oltre i bastioni della città vecchia.  Dunque dal deserto del Sa…

Jardin Majorelle - 12 ottobre 2019

L’hammam nel cuore della Medina, la prima birra fredda dopo giorni di the caldo alla menta e buone nove ore di sonno, ci sono servite oggi a lanciarci oltre i bastioni della città vecchia.
Dunque dal deserto del Sahara, un ritorno alla “civiltà moderna”, che, a dispetto della serenità impagabile del sentirsi in silenzio e lontana dal mondo, mi ha fatto amare ognuno del dodici mila mezzi di trasporto impiegati qui a Marrakech. Asini, cavalli, carretti, biciclette, taxi, camioncini e motorini. Motorini, motorini ovunque. Marrakech sta a motorini come Amsterdam sta a biciclette.
Un fuoco incrociato di Ciao vecchio stile anni 80 guidati da chiunque: uomini, donne, bambini, nuclei famigliari (uomo donna bambini). Tutti insieme appassionatamente e sincronizzati. Sembra impossibile non avere la tragedia ad ogni angolo di strada ed invece, nel rispetto di queste regole stradali non note a noi occidentali, sopravvivono e superano una giornata dietro l’altra.
Al termine di una rapida contrattazione sul prezzo giusto (dovrebbero farci lezioni di economia in Marocco, per spiegarci bene come si incontrano davvero domanda e offerta), ci siamo lasciati alle spalle gli odori speziati e le geometrie della Marrakech di radice islamica, per incontrare l’architettura modernista europea della Ville Nouvelle.
Proprio qui, i Jardin Majorelle: la casetta modesta di Yves Saint Laurent nei tempi che furono della sua gloria professionale. Un paio di piantine nel giardino, che se solo lo avessi saputo prima che l’Amazzonia avesse iniziato a bruciare, avrei tranquillizzato tutti “Oh ma va. Preoccupatevi il giusto. Ci ha pensato Yves al polmone di scorta della terra”. Ci sono cose che si scoprono. Altre che si imparano. Qui ho imparato che esattamente come per i numeri, anche i colori sono infiniti. Indefinibili le combinazioni che possono far nascere un colore. Come un incontro casuale con una persona speciale. Una mina impazzita che, se esplode nel momento giusto che nemmeno lei sa....serendipity.
Cosa ne ho scoperto?
Ne ho scoperto blu. Blu Majorelle.

Museo di Yves Saint Laurent.

Museo di Yves Saint Laurent.

Zagora. Abdul e comitiva.

Zagora. Abdul e comitiva.

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La pausa prima di Zagora.

La pausa prima di Zagora.

Kasbah di Ait BenHaddou

Kasbah di Ait BenHaddou

Una fabbrica di mattoni ad Ait BenHaddou.

Una fabbrica di mattoni ad Ait BenHaddou.

Medina.

Medina.

Le Jardin Secret

Le Jardin Secret

Una birra servita senza imbarazzo. Qualche timida scollatura delle donne sedute al tavolo. E la vista sulla Medina.

Una birra servita senza imbarazzo. Qualche timida scollatura delle donne sedute al tavolo. E la vista sulla Medina.

Piazza Jamaa el Fna - 13 ottobre 2019Ultimo afoso risveglio qui a Marrakech, solleticate dal cinguettio allegro di un solo uccellino, ma che nell’eco ipnotico del nostro Riad, sembravan cento.  Abbiamo sfogliato la guida per un po’ a colazione, alla…

Piazza Jamaa el Fna - 13 ottobre 2019

Ultimo afoso risveglio qui a Marrakech, solleticate dal cinguettio allegro di un solo uccellino, ma che nell’eco ipnotico del nostro Riad, sembravan cento.
Abbiamo sfogliato la guida per un po’ a colazione, alla ricerca di cos’altro prendere da questa dimensione, prima di ritornare alla nostra.
Puntata la bussola a nord, entro le mura della città vecchia, abbiamo deciso con poca consapevolezza di percorrere la Medina oltre piazza Jemaa El Fna, fino alla fine dell’ultimo souq. Fino al confine di questa tradizione troppo ricca di dettagli e atmosfera da poter raccontare.
Ho capito in questi giorni di strada e polvere, più di quanto non avessi già fatto nei miei precedenti viaggi, che non possiamo bloccare tutto del nostro vissuto. Scrivere, raccontare, fotografare: ad ognuno e molti altri di questi gesti sfuggirà sempre qualcosa. L’essenza stessa dello “stare” in un posto: tutto ciò che per assenza di mezzi non possiamo condividere, resta tuttavia esclusivamente (nonché preziosamente) nostro.
Dunque non tenterò nemmeno di spiegare cosa accade in un angolo di souq, se la strada è larga poco più di 5 metri, due uomini stanno spostando un armadio su un carretto, un asino con uomo a bordo vuole svoltare a sinistra, quattro bambini giocano a calcio, sette motorini suonano perché vogliono passare, e una donna con due bambini in braccio e un vassoio con frutta in testa in perfetto equilibrio supera l’incrocio con scioltezza. No, non ve lo spiegherò: dovete scoprirlo da soli.
Vi dirò soltanto che abbiamo seguito un uomo nei vicoli irrazionali di questa grande circolazione marocchina. Ci ha infilato della menta in mano e in un misto inglese e italiano ci ha portato a vedere dove le pelli a Marrakech diventano colore.
La menta è stata determinante a non svenire dalla puzza. Le cose che ho visto tra una conceria e l’altra, a non aver paura di dove mi stesse portando.

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Ho disfatto la valigia, caricato una lavatrice, svuotato le converse dai 2 kg di sabbia rossa imbarcata a Zagora. Messo la guida in libreria assieme alle altre.  Da piccola il nonno mi dava dieci mila lire ogni sabato. Se decidevo di comprarci qualc…

Ho disfatto la valigia, caricato una lavatrice, svuotato le converse dai 2 kg di sabbia rossa imbarcata a Zagora. Messo la guida in libreria assieme alle altre.
Da piccola il nonno mi dava dieci mila lire ogni sabato. Se decidevo di comprarci qualcosa mia madre mi chiedeva ogni volta: “Sai quanti gelati puoi comprare con quei soldi?”.
È così che ho imparato il valore della ricchezza: di certo non contando le banconote, ma soppesando l’intensità delle emozioni che potevo conquistare attraverso quei pochi risparmi. Molte volte ho preferito il gelato. Altre volte no. Ma le ricordo tutte.
E mi sentivo la bambina più ricca e fortunata di tutta la terra.

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